<<Preside, Astariti non è bravo, Astariti è un “primo della classe”. Astariti non c’ha i capelli tagliati alla mohicana, non si veste come il figlio di uno spacciatore, non si mette le scarpe del fratello che puzzano. Astariti è pulito, perfetto. Interrogato, si dispone al lato della cattedra senza libri, senza appunti, senza imbrogli. Ripete la lezione senza pause: tutto quello che mi è uscito di bocca, tutto il fedele rispecchiamento di un anno di lavoro! Alla fine gli metto 8, ma vorrei tagliarmi la gola! […] Astariti è la dimostrazione evidente che la scuola italiana funziona solo con chi non ne ha bisogno!>>
Tratto dal film La scuola di Daniele Luchetti
Ho deciso di presentare domanda di Servizio Civile sulla scia di una curiosità, per lungo tempo rimandata, e delle mie prime esperienze lavorative. Sono una psicologa e, da Settembre 2017, una volontaria presso la scuola media Anna Frank di Cesena.
La mia formazione universitaria, principalmente orientata alla psicologia clinica dell’età adulta, mi aveva permesso di avere un contatto minimo con il mondo della scuola e delle problematiche ad essa connesse ma, un pò per caso, le circostanze della vita hanno colmato questa lacuna. Nell’Ottobre 2016, ho iniziato ad affiancare alunni con disturbi dell’apprendimento nello svolgimento dei compiti presso un servizio specialistico di doposcuola. All’interno di questa cornice, il Servizio civile, di cui avevo tanto sentito parlare, si è prospettato come un’importante opportunità per approfondire e dare continuità all’occasione che avevo avuto.
La mia struttura, che si trova nel quartiere di S.Egidio, è il nodo centrale di un complesso di tre sedi, crocevia di storie e diversità. E’ sufficiente trascorrere del tempo nelle classi per rendersi conto delle tante differenze, culturali, personali e apprenditive, che un insegnante è impegnato a fronteggiare e valorizzare. In un contesto così colorato e dinamico, la mia attività quotidiana è parallela e di supporto a quella degli insegnanti. Con loro, infatti, viene concordato il lavoro che svolgo in piccoli gruppi di studio, formati da studenti con disturbi dell’apprendimento, disabilità e, in parte, alunni stranieri in fase di prima alfabetizzazione. All’interno di questi piccoli gruppi di studio, eterogenei per quanto riguarda le risorse e le difficoltà degli alunni coinvolti, cerchiamo di approcciarci ai contenuti scolastici nel modo che possa essere più utile ad ognuno di loro. I gruppi di studio rappresentano una parentesi dentro la quale confrontarsi, ragionare secondo i tempi di cui ciascuno ha bisogno, sviluppare strategie per potenziare l’apprendimento ma, soprattutto, per esprimersi.
Con piacere e stupore, ho scoperto un mondo completamente nuovo rispetto agli anni in cui io stessa passavo le mie mattine dietro ai banchi. Ho scoperto una scuola sensibile alle storie di vita dei suoi alunni, prima ancora che alle loro prestazioni. Una scuola in cui io ho subito appreso la lezione più significativa, ossia permettere che i ragazzi potessero esprimersi in un clima di accettazione e arricchimento reciproco, in cui insegnare è spesso secondario ad educare. In questa scuola focalizzata sull’evoluzione dei suoi studenti, e quindi sulla loro umanità oltre che sulla loro competenza, ho trovato spazio anche per la mia, di evoluzione. Con un pò di presunzione, allora, vorrei dire che la scuola italiana non funziona solo con chi non ne ha bisogno, come recita lo stralcio di copione che ho riportato. La scuola italiana può funzionare con chiunque vi operi dentro: con un ragazzo che arriva disorientato da un paese lontano, con uno studente che vede lettere e numeri incerti lì a traballare tra righe e quadretti, con professori pieni di dedizione ma anche curvi per la stanchezza che il loro mandato comporta…e con una semplice volontaria, che ogni giorno può attribuire valore al suo tempo, migliorare e nutrire la sana speranza in un mondo più autentico in futuro.
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