Le violenze perpetrate dalle SS, le esecuzioni sommarie, i 186 gradini di Mauthausen. Il nazionalsocialismo è diventato, nell’immaginario collettivo, l’emblema del male assoluto, una realtà a sé stante di cui nessuno si è mai capacitato fino in fondo. Ma come sono state concepite tali barbarie? Cosa c’è dietro la follia di un uomo che in cinque anni ha sottomesso l’Europa continentale, che ha costruito una macchina perfetta, che ancora oggi, settant’anni dopo, fa parlare di sé la cinematografia e la politica? La mostra di Eugenio Magri, in collaborazione con l’Anpi e con noi volontari del progetto “La memoria come strumento di educazione alla pace” dell’ARCI servizio civile, si è curata di dare delle risposte a queste domande. Si è preoccupata di non lasciare l’Olocausto sospeso nel limbo del sensazionalismo, senza perdere di vista la drammaticità degli eventi. Foto, statistiche e documenti hanno raccontato la repubblica di Weimar e l’avvento del nazionalsocialismo in modo molto approfondito, creando un background storico da cui partire per il prosieguo della mostra, che dal 28 aprile al 10 maggio ci ha accompagnati lungo l’intero corso della seconda guerra mondiale sui campi di battaglia e nei lager nazisti.
Non c’è terreno politico-sociale più adatto a quello contemporaneo per assimilare le riflessioni che il curatore vicentino ha voluto far emergere dai propri quadri. Patti e coalizioni improbabili, sessanta giorni senza un governo e la pancia del popolo italiano da nutrire di ideologie, populismi e soluzioni facili, questa è la realtà sociale che si sta ripetendo come tappa di un ciclo storico che pare infinito. E rievocare i drammi di un orribile passato in una mostra accurata e resa ancora più affascinante dalla suggestiva cornice della Loggia del Capitaniato di Vicenza, patrimonio UNESCO dal 1994, è stato un modo per fare cultura e sensibilizzazione, riscuotendo un ottimo successo in termini di pubblico.
Eugenio Magri ha aperto la sua esposizione con un interessante excursus sulla repubblica di Weimar. Una Germania straziata moralmente ed economicamente dalla sconfitta subita nella Grande Guerra è il contesto che un uomo forte e carismatico, assetato di potere, preferisce. Soprattutto se dalla sua trova il governo tedesco, preoccupato dalla forza della sinistra, che nei primi anni Venti era stata in grado di accaparrarsi buona parte delle masse convinte di trovare in essa la fine del precario establishment instauratosi dalla fine del primo conflitto mondiale. Come qualche anno prima nell’Italia giolittiana, i vertici della Repubblica tedesca avevano visto nel partito nazionalsocialista una forza utile ad arginare le tendenze comuniste: le ribellioni della Ruhr (1920), in Sassonia e ad Amburgo (1921) avevano preoccupato non poco la socialdemocrazia di Weimar, che accoglieva con favore la crescita dei seggi nazisti. La crisi del 1929, infine, è ciò che consacra Adolf Hitler. Le sanzioni belliche e l’inflazione galoppante del marco fanno sì che i comizi e le sempre più imperiali scenografie del futuro Führer entrino come una lama nel cuore dei cittadini tedeschi, a cui viene promessa, evidentemente con un’enfasi che da quelle parti non si vedeva da tempo, una “grande Germania”. Ma non è contenta solo la fascia medio-bassa della nazione. Gli industriali, che vedono finalmente la speranza di esaurire gli scioperi operai, la possibilità di curare i propri interessi su un terreno politicamente più tranquillo, finanziano il partito (e poi regime) nazionalsocialista. Il magnate dei pianoforti Bechstein, l’imprenditore siderurgico Thyssen sono solo i nomi più grossi che Magri ha citato all’inizio della sua mostra.
La strada per la quale ci ha indirizzati progressivamente Magri ci ha presentato tappa per tappa tutta l’epopea nazionalsocialista. Un quadro che, così presentato, è apparso tristemente e spaventosamente umano. Dai primi comizi di Hitler, in assemblee semivuote, e le prime dimostrazioni di SA e SS, più consone a qualche sfilata carnevalesca che a rappresentare una delle più efferate organizzazioni criminali della storia, si arriva, quasi senza rendersene conto, alle stragi durante la seconda guerra mondiale. Quello che sta in mezzo è un escalation di violenza, sempre più grossolana: dalle caricature antisemite, ai primi boicottaggi nei confronti degli ebrei, fino all’istituzionalizzazione dell’odio: le leggi razziali di Norimberga e i primi pogrom, come la ‘Notte dei Cristalli’ il 9 novembre 1938. Così, in pochi anni, la democrazia morente viene del tutto sepolta, lasciando il posto all’impero tedesco, del quale Hitler era l’unico leader indiscusso, venerato come un messia destinato a riscattare l’onore della Germania.
Sono state collocate al termine della mostra le forti immagini delle violenze dei nazisti nei territori occupati, nei confronti di civili ma soprattutto di ebrei, come l’agghiacciante spettacolo della repressione della rivolta del ghetto di Varsavia, durante le quali non furono risparmiati neppure le donne e i bambini. Le foto dei lager, delle torture e delle barbarie alle quali erano sottoposti i prigionieri, ridotti a manici di scopa, non possono che apparire come l’incoronazione di questa marcia di sangue.
Se comprendere il nazismo ci risulta tuttora impossibile, poterlo osservare nel suo intero ciclo vitale, ci offre uno spunto interessante. Esso infatti non è stato creato da qualche entità maligna in un angolo disperso dell’universo. Il nazionalsocialismo è nato per volontà degli uomini, e la sua culla è stata la democrazia, presto divorata dalla sua stessa creatura. Eugenio Magri, con questa mostra, ci ha lanciato un monito: non considerare il nazismo come qualcosa di segregato in un passato, dal quale non tornerà più. E’ bene guardarsi indietro, riflettere, e valutare ogni situazione. Essersi fermati a leggere i nomi dei deportati vicentini verso i vari campi di concentramento ci ha fatto realizzare che tutto questo non è stato alla fine troppo lontano da noi.
Francesco Brun e Pietro Golin
Progetto: “La memoria come strumento di educazione alla pace”