Nel sacello n° 34 da molti anni non riposa più nessuno. La Signora Sparta ha portato via ciò che rimaneva del suo unico e amatissimo figlio Manlio, trucidato il 24 marzo del 1944 dai nazisti. La risposta all’agguato di Via Rasella ad opera dei partigiani non si è fatta attendere. Il fatto è così grave da scomodare anche il comandante supremo delle SS in Italia Karl Wolff che, atterrato all’aeroporto militare di Viterbo, insieme con il feldmaresciallo Kesselring, intende pianificare una repressione senza precedenti contro i romani. Sotto il cielo di Roma, quel giorno, 335 anime trovarono la pace dopo giorni e mesi di torture. Il Mausoleo delle Fosse Ardeatine racconta ciò che i nazisti credevano di aver per sempre gettato nell’oblio, 335 uomini la cui esistenza non poteva essere tollerata, da chi, per vanagloria, vedeva in loro lo spirito di un popolo ambizioso di libertà. Il numero 34 che segnala il sacello di Manlio ci dice che fu uno degli ultimi a morire. La scheda che lo riguarda suggerisce che, oltre ad essere un medico, Manlio era a capo di una banda partigiana nel viterbese e nel gallese. La banda portava il suo nome, Banda Gelsomini per l’esattezza, costituitasi nella località di Castel Sant’Elia. È in questo territorio dell’Alto Lazio che Manlio svolge la sua resistenza, la sua vita si intreccia con il professore Mariano Buratti con il quale collabora prima dell’arresto. È il destino che li lega nella cena che si svolse nella casa della Professoressa Maria Teresa Anselmi, in via Cardinal Lafontaine, alla presenza di Angelo Labella, testimone del rapporto che lega il dottore romano e il professore viterbese. Ancora una volta direzione Viterbo, Manlio e Mariano sono insieme, questa volta per l’ultima, in quel vile posto di blocco a Ponte Milvio, che li trascina nel girone di via Tasso, dal quale il nostro professore non uscirà più.
Ma la spia che li ha traditi si appresta a riparare, salva Malio e gli concede di vivere ancora. È il 12 dicembre del 1943, tra circa un mese le porte di Via Tasso gli si apriranno di nuovo.
Il giornalista Valerio Piccioni ha ripercorso le tappe di questa fulminea vita, sacrificata per la libertà di un’Italia che, negli scritti di Manlio all’interno di Via Tasso, è viva più di lui.
I pensieri scritti negli ultimi mesi di vita sono stati raccolti dopo la sua morte dalla madre, Sparta.
L’ultima lettera, seppur scritta poche ora prima di morire, non fu accolta nel celebre testo “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana”, questo perché, a differenza dei più dei centonovanta protagonisti, Manlio gelsomini non sapeva, scrivendo quell’ultimo atto che solo poche ore dopo, i tedeschi avevano in serbo per lui quell’assurdo finale.
Il 27 luglio del 1944 iniziò il lungo lavoro di esumazione dei corpi dalle fosse ardeatine ad opera del Dott. Attilio Ascarelli, Manlio è l’ignoto n° 34.
Ora, Manlio Gelsomini riposa accanto ai suoi genitori, un luogo senza pianto e senza dolore. Al petto, l’Italia Liberata gli ha appuntato la medaglia d’oro al valor militare alla memoria.