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La Memoria dalle storie locali all’educazione alla pace: Storia di Marta Coen e Jader Spizzichino

La Memoria dalle storie locali all’educazione alla pace: Storia di Marta Coen e Jader Spizzichino

Il 2 dicembre 1943 la famiglia Spizzichino, composta da Jader, Marta e la piccola Franca, si trova nella propria abitazione di Bolsena. Sono lì, in un piccolo paese di provincia, per vivere sereni, lontano dai pericoli della grande città. Le leggi razziali avvelenano l’Italia e l’Europa ormai da anni e più a nulla serve illudersi di poter sfuggire all’onda mortale così sapientemente innescata da fascismo e nazismo.

Quel giorno, le loro esistenze sono aggredite dalla ferocia di un regime spietato.

Tratti in arresto e condotti nel carcere di Santa Maria in Grandi, Marta Coen e Jader Spizzichino scrivono più volte al Capo della Provincia. Si giustificano, vantano amicizie fasciste di spicco, chiedono di essere liberati e poter dar prova dell’errore commesso. Non si dichiarano di razza ebraica. Marta sostiene che sia un errore commesso dal marito ma che vi sarebbero prove per smentire il fatto: i loro battesimi.

Le loro lettere resteranno inascoltate e, nei primi mesi del 1944, partiranno insieme agli altri detenuti per Fossoli di Carpi. Non torneranno più.

Devono aver pensato che si sarebbero salvati e non tutto era perduto, che avrebbero scampato a quell’umanità trasfigurata.

La loro Memoria vive nella nostra storia, negli archivi che conservano le loro lettere, i loro nomi, la dolce grafia di Marta, disperata e pur determinata a vivere; non da ultimo, vive nei ricordi della loro piccola Franca sopravvissuta al vuoto di quell’amore mancato del quale è stata ingiustamente privata. Donatella D’atri nipote dei coniugi Spizzichino racconta la storia della vita di sua madre, la sua fuga sulle rive del lago di Bolsena, le lettere inviate furtivamente al carcere di Santa Maria in Gradi.

Incredibilmente, il 2 dicembre 1943 Franca riesce a sfuggire ai suoi aguzzini, dopo giorni di viaggio arriva a Roma dalla zia Berta, sorella di Marta, anche lei nascosta alla furia razzista.

Marta, dal carcere, fa un tentativo. Scrive alla vicina di casa di sua sorella Berta, un’ariana. Simula di essere interessata alla sua salute e soprattutto a sua figlia. È un messaggio criptato. Spera di avere notizie sulla sua Doi, sulla sua Franca.  Così le lettere sfuggono alla censura, e oggi agli archivi, ma arrivano dritte agli affetti. Marta chiede di ricevere i certificati di battesimo per essere liberata da l’”accusa” di ebraismo. Ma quale battesimo? Quello celebrato in gran segreto. Ultimo tentativo nel quale trovare rifugio per sé e per la sua piccola.

Franca non resterà a lungo con la zia, verrà però nascosta dal convento che poco tempo prima era la sua scuola. La scuola che l’aveva accolta dopo essersi battezzata.

Molto dolore dopo, finita la guerra e costruita una nuova famiglia, Franca riuscirà a conoscere i destini che gli uomini hanno riservato ai suoi genitori. Divisi in due campi di concentramento diversi, la madre Marta con molta probabilità non superò la selezione ad Auschwitz, mentre il padre si ammalò di tifo a Bergen Belsen. Franca però, grazie ad alcune preziose testimonianze, trova la fossa comune dove il padre è stato disumanamente gettato via. I suoi occhiali da vista e l’anellino di sua figlia si mischiano a ciò che resta del suo corpo. Grazie a Franca, Jader fa ritorno a casa.