Undici mesi in comunità ti cambiano la vita, soprattutto ad Amarkord. Avete presente uno di quei quadri iperrealistici, dove ogni dettaglio è descritto in modo quasi sfinente fin nei suoi più piccoli particolari? Amarkord è proprio così: all’inizio l’aria può sembrare pesante, troppo intensa per poterci stare, ogni aspetto della realtà qui dentro è amplificato, perché tutta la casa è costantemente innervata delle emozioni di tutti quelli che la attraversano: dagli educatori, con le loro preoccupazioni e dubbi, ai ragazzi con i loro sospiri, le loro arrabbiature, le spalle troppo pesanti per le responsabilità di una vita che non hanno scelto, il cuore che a volte batte troppo veloce e altre troppo piano, gli occhi ogni tanto speranzosi ma più spesso incapaci di uscire dal buio passato che li ha inghiottiti. E poi in questi mesi ci sono stata anche io, che ho cercato di camminare passo dopo passo in questa surrealtà, sbagliando molte volte ma imparando tanto. Certo, in un mondo giusto, in un mondo ovviamente ideale, Amarkord non esisterebbe, ma – per un motivo tuttora sconosciuto – la vita ancora una volta, come dice il poeta, ci rivela la sua misteriosa ricetta grazie alla quale trae le cose più belle da quelle più brutte.
Io, da parte mia, ho capito che le opportunità che la vita ci dà non dobbiamo sprecarle, che bisogna sempre combattere senza mai arrendersi, che, anche se spesso dobbiamo rassegnarci, dobbiamo comunque reagire e riprovarci, che è importante aiutarsi e sostenersi. Amarkord mi ha fatto il dono di poter viaggiare in tanti paesi e vivere tante vite e io non potrò mai più guardare il mondo solo attraverso i miei occhi, ma con quelli opachi e neri come la notte di una giovane ragazza nigeriana che ha conosciuto troppo presto la durezza della vita, con quelli tristi e malinconici di un ragazzo della Guinea che tutti i giorni cerca di guardare sempre avanti, con quelli dolci e vispi di un ragazzino tunisino che cerca il suo posto nel mondo ma spesso la vita lo costringe a scelte troppo grandi per la sua giovane età. Questi ragazzi mi hanno insegnato anche la vera volontà e determinazione che se ne frega del gran casino che a volte è la vita e vuole comunque e nonostante tutto andare avanti, perché non navighiamo solo sospinti dal vento, ma il timone è nelle nostre mani e decidiamo noi la direzione, che non conta da dove vieni perché ogni vita è degna di essere vissuta e tutti abbiamo diritto alla felicità.
Ringrazio Arci Servizio Civile per aver proposto questi meravigliosi progetti e in particolare Chiara e Linda per avermi accolta a braccia aperte, Tania per avermi selezionata, la mia simpaticissima responsabile Federica per avermi dato sempre fiducia e stima, così come del resto le mie coordinatrici Elena e Gina alle quali rinnovo i miei ringraziamenti. E inoltre ringrazio tutta la meravigliosa équipe di educatori di Amarkord che è variopinta proprio come gli ospiti che vi arrivano: da ognuno di voi ho imparato tanto, e, visto che quest’anno me l’avete detto tante volte, lasciate che ve lo dica io: GRAZIE perché mi avete subito accolta e fatta sentire a casa mia. Grazie al mio collega e compagno di viaggio, nonché amico, Alassane che in una notte senza stelle nel settembre 2016, mentre io studiavo per gli esami in università, affrontava un pericoloso viaggio in mare per migliorare la propria vita. Grazie anche ai miei insostituibili e divertentissimi compagni di formazione Fabiana, Giulia, Marco e Tommaso. Grazie a mia sorella che mi ha sostenuto fin dall’inizio. Grazie, infine e soprattutto, ai 31 ragazzi che ho conosciuto, che si sono fatti conoscere e con cui ho vissuto in questi mesi.
Amarkord d’ora in poi per me non sarà più solo una parola come le altre, ma sarà nel mio cuore uno di quei ricordi preziosi tutto intriso di bellezza e calore.