“Bibliotecario Francesco vieni, ti abbiamo lasciato un messaggio al computer”.
Una mattinata come tante altre, a dire il vero un poco più uggiosa del solito: la finestra della piccola biblioteca scolastica è appena socchiusa e nell’aria umida aleggia il profumo della pioggia che da settimane non accenna a concedere tregua. Mi sono svegliato un po’ pensieroso, l’umore grigio quasi quanto il cielo di questo maggio insolito, dal sapore vagamente britannico.
In biblioteca oggi il tempo sembra non voler passare mai e all’orizzonte non si accennano a vedere le solite mandrie di pargoli che, con la loro contagiosa spensieratezza, riescono sempre a instillarmi il buonumore, anche quando sono sommerso nel buio di queste giornate un po’ sottotono. Pervaso dalla noia, decido allora di mettermi a praticare una delle mie attività preferite: guardarmi un po’ intorno e lasciare vagare la mente in totale libertà. Faccio parte di quella categoria di esseri umani dei quali spesso la gente suol dire: “Ah Francesco, lui si che ha sempre la testa tra le nuvole“.
Sto pensando, con le narici pervase dall’odore umido della pioggia: ho socchiuso leggermente un’anta della finestra, per permettere
Rivedo affacciarsi nella mente il me stesso di qualche mese fa, quando ho deciso di imbarcarmi in questa nuova avventura chiamata “Servizio Civile” o, più precisamente, “Progetto minori insieme 2017”. Eccetto qualche esperienza come animatore nelle consuete feste parrocchiali – tipica prassi di un qualsiasi ragazzo della provincia italiana, quella dove la vita scorre placidamente monotona tra la piazza e l’oratorio – non ho mai avuto chissà quali incontri ravvicinati con il dorato e, per me, misterioso mondo dell’infanzia.
Nonostante la proverbiale pigrizia che – mia fedele ombra dalla culla – mi accompagna, sono una persona la quale apprezza assai tanto sfidare se stesso e superare i propri limiti: questo perché amo visceralmente, con ogni cellula del mio corpo l’atto dell’imparare ed esso, per antonomasia, implica l’esplorare territori a noi sconosciuti.
Per questo, quando si è profilata all’orizzonte la possibilità di svolgere questo percorso di Servizio Civile Universale nell’ambito del lavoro coi minori, ho – come si suol dire – colto subito “la palla al balzo”: essendomi laureato da poco, ho deciso di trascorrere il mio anno post-graduation (come direbbero i miei colleghi americani), impegnandomi a setacciare terreni a me ignoti, avventurandomi per la precisione – come direbbe Paolo Bonolis in una puntata di “Ciao Darwin” – nel coloratissimo, ma impervio mondo degli infanti.
Sono stato assegnato in due luoghi diversi ma – come vedremo – con numerose similitudini. Da una parte abbiamo la “squadra” della biblioteca comunale “Don Milani”, un ambiente a me assai dolcemente familiare perché non solo sui suoi muri si possono ancora ammirare tracce del sangue e del sudore da me versato sui “ mattoni” di tomi da memorizzare per gli esami universitari, ma anche perché vi ho trascorso alcuni mesi di volontariato nell’ambito del progetto “Younger card”; dall’altra parte c’è il variopinto mondo della mia vecchia scuola elementare “Gianni Rodari”.
La prima volta che ho varcato di nuovo la porta di quella che è stata il palcoscenico dei miei anni più dolcemente spensierati, mi è sembrato di rivedere per un istante il piccolo me mentre – biondino e grassottello – saliva i gradini dell’immensa – o perlomeno così sembrava a me a quell’epoca – scalinata, sicuramente intento a trattare qualche scambio di figurina o di carta dei Pokemon.
Immerso nel sapore dolce amaro dei ricordi, ho quindi iniziato il mio anno di volontario del Servizio Civile titubante, emozionato, impacciato, ma con un’unica costante certezza: se avessi trasmesso, al termine del mio “mandato” anche solo una piccola parte dell’immenso amore che da sempre nutro per i libri ai bambini della scuola, allora mi sarei ritenuto un vincitore e il mio lavoro non sarebbe stato vano.
Nei primi mesi io, poco avvezzo a lasciarmi contagiare dalla vivacità sfrenata dei bambini, sono invece stato trascinato – e conquistato – dalla loro tenerezza e dal loro incondizionato amore per la vita: del tutto inconsapevoli ancora – giustamente – dei tranelli che può riservare il mondo adulto, essi pervadono ogni cosa con la loro energica e contagiosa spontaneità. A scuola mi scalda il cuore osservare come mi cercano con lo sguardo una volta varcata la soglia del nostro piccolo angolo dedicato ai libri; nella biblioteca comunale, nonostante trattiamo con gente di ogni età, uno spazio speciale – una stanza enorme, colorata e ricca di giocattoli – è riservato esclusivamente ai nostri piccoli clienti, insieme ad iniziative ad hoc, come la festa di Carnevale per la quale occasione mi sono lasciato truccare da Pikachu. Perché si sa, tutti noi dobbiamo – o dovremmo – riservarci momenti in cui riassaporare il gusto dell’innocenza perduta.
Mentre sto ancora vagando con la testa a tutti questi momenti semplici ma speciali – forse speciali proprio perché semplici – vengo riportato alla realtà, grigia e uggiosa, di questa piovosa mattina di maggio.
Qualcuno mi sta chiamando, facendomi risvegliare dalle mie fantasticherie: sono due delle bambine che più assiduamente frequentano la biblioteca scolastica, due bambine che, per quanto mi riguarda, occupano un posto molto speciale nel profondo del mio petto.
“Bibliotecario Francesco vieni, ti abbiamo lasciato un messaggio al computer”: le “mie” bambine del cuore mi prendono per mano e mi conducono verso lo schermo dove hanno lasciato un messaggio, scritto appositamente per me. Breve, semplice, con qualche errore ortografico, ma che mi scalda e mi riempie più di una tazza di cioccolata fumante in una fredda sera d’inverno: nel suddetto messaggio le due puellae chiedono ai loro “colleghi” di rimettere a posto meglio i libri in mia assenza e concludono dicendo “Noi vogliamo molto bene al bibliotecario Francesco”. Vedendo la mia commozione, le “mie” bambine mi abbracciano, non facendo che alimentarla ulteriormente. Una grigia mattinata di pioggia non era mai stata più luminosa.
Non ancora pago, qualche giorno dopo concludo la serie di mattinate del sabato dedicate a un’iniziativa da noi tenuta alla biblioteca comunale, la quale prevedeva la lettura di quattro storie della vita di altrettanti geni- uomini e anche donne ovviamente – del passato.
Al termine della “conferenza”, faccio per rialzarmi dal nostro tappetone colorato – che usiamo sempre per questo tipo di iniziative – quando alcune bambine, che sono state mie fedeli spettatrici e compagne di tutti i suddetti “sabati dei geni”, mi consegnano tutte soddisfatte un disegno: esso ritrae me insieme a loro e mi ringrazia per le belle storie che ho raccontato loro, sono rimaste appassionate e divertite. Un’altra giornata di pioggia improvvisamente si illumina come un’assolata spiaggia riminese a Ferragosto.
Dopo quasi cinque mesi di servizio immerso nel mondo dell’infanzia non posso dire certo di averne dipanato tutti i misteri, ma forse una cosa la posso affermare con certezza: siamo noi grandi quelli in realtà ad avere tanti misteri, tanti inganni, tanti tormenti. I bambini sono limpidi, sono il riflesso dei loro occhi, dei loro sorrisi. E soprattutto sono capaci di restituirlo a noi il nostro sorriso, ci ricordano con la loro spensierata voglia di scoprire e imparare che anche negli attimi più grigi dobbiamo sempre ricordarci di accendere la luce.
Francesco