Con la conclusione dell’anno di Servizio Civile, è giunto anche il momento per tracciare un bilancio di questa esperienza. Uno sguardo retrospettivo, quindi, si impone per ripercorrere le scelte fatte e riscoprire le proprie motivazioni. E così, in una sorta di flashback, rieccomi agli inizi di aprile 2015, intento a misurare le probabilità di successo di una mia candidatura a diversi progetti previsti dal bando; prima di scegliere, mi ricordo di aver proceduto a soppesare i miei interessi, il percorso di studi, le mie competenze in relazione ai diversi obbiettivi previsti dai rispettivi progetti.
Certamente un simile approccio è stato utile per constatare le mie motivazioni in vista di un impegno annuale importante, ma, durante lo svolgersi di questo percorso, ho compreso che una simile valutazione non è completamente adeguata a ciò che il Servizio Civile rappresenta. L’immagine di una bilancia – sui cui piatti vengono comparati le competenze iniziali del singolo volontario e ciò che i singoli progetti offrono in termini di formazione e pratica sul campo – non è sufficiente. Lo scambio innescato è ben più complesso e va ben oltre la mera convenienza.
Durante quest’anno, abbiamo svolto attività di animazione culturale, promozione della lettura e della visione cinematografica presso circoli Arci alla periferia di Torino, discutendo di Resistenza, condizione della donna, diritti degli immigrati, condizione giovanile, ecc. Al di là della partecipazione riscontrata, questi incontri hanno rappresentato un’occasione per agire in determinate realtà, confrontarsi con i loro abitanti e condividere degli obbiettivi con l’associazione di riferimento. In generale, ciò che viene messo in gioco durante il Servizio Civile è la relazione tra un individuo e una comunità: il singolo, attraverso un’azione concreta e per lui realizzabile, ha la possibilità di incidere, anche in minima parte, sulla collettività, la quale, in questo modo, può continuare a crescere. Dunque, il volontario attraverso il SCN condivide un percorso e degli obbiettivi con altre persone; deve interessarsi agli altri e curarsi di alcune situazioni, facendosene carico. I care. Nello specifico, come ha scritto Furio Colombo nell’articolo I care, bello e rischioso, uscito su La Repubblica l’8 gennaio del 2000, questo scambio attiva una forma di partecipazione, basata sul dovere, sulla responsabilità. In esso il volontario avanza la propria offerta per costruire qualcosa, secondo il contributo che egli può dare, e, così, afferma la propria presenza – “io ci sono” – in una sorta di rivendicazione di cittadinanza.
La riflessione non può non includere anche i futuri obbiettivi. In questi anni di difficoltà in cui versano l’Europa e l’Italia, credo che un tale programma – sostenuto dai necessari provvedimenti politici e inserito in una visione più ampia –, unito alla possibilità di coinvolgere i soggetti più colpiti dalla crisi economica, possa essere utile per superare le forti spinte disgregative presenti sulla scena sociale. In tal senso, sono già attivi progetti di SCN all’estero e di Erasmus Plus (EVS, European Voluntary Service), i quali inseriscono i volontari in una comunità locale lontana da quella di origine. In questa dimensione di scambio tra collettività ospitante e volontario, di condivisione e partecipazione, un’idea più ampia di cittadinanza può concretamente consolidarsi e svilupparsi. Parallelamente alla fondazione di istituzioni e di un mercato unico, ora si tratta di fare gli Europei.