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Storytelling: MENO SOLI

Storytelling: MENO SOLI

Ed ecco lo storytelling elaborato dai Volontari del Progetto “Meno Soli Lamezia Terme”

 

L’Amore vince su tutto

Svolgevo il mio servizio civile nella casa di riposo comunale, occupandomi degli ospiti della struttura. Un giorno, durante una pausa, mi sono soffermato ad osservare una coppia di anziani seduti davanti la finestra che si tenevano per mano. Avevano lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi malinconici, la mente che ‘affogava’ nei ricordi. Mi incuriosì questa loro tenera espressione e chiesi a loro cosa stessero pensando. Da lì iniziarono a raccontarmi la loro storia. Lui si chiamava Antonio, la sua famiglia non era ricca ma composta da grandi lavoratori. Era simpatico, bello e aveva un eleganza e gentilezza innata. Lei Annetta, era timida e bella come il sole. Proveniva da una famiglia benestante. Le piaceva leggere, per lo più poesie. Il suo posto preferito era una panchina collocata in un angolo della villetta comunale. Lì si sentiva a suo agio. Poteva leggere e sognare ad occhi aperti senza che nessuno la disturbasse e, allo stesso tempo, ascoltare la gente, raccontare le loro vicissitudini giornaliere e magari farsi due risate senza che qualcuno la notasse. Invece qualcuno la notò, tanti anni fa quando era una giovane donna che guardava speranzosa alla vita! Chi la notò era Antonio che già da tempo l’aveva adocchiata ma non aveva avuto il coraggio di avvicinarsi a lei, un po’ per timore, perché sapeva da che famiglia provenisse (e lui non si sentiva alla sua altezza), un po’ perché forse se ne era già innamorato. Un giorno ebbe un lampo di genio, si avvicinò a lei e le chiese cosa stesse leggendo. Lei rispose molto timidamente e con il viso rosso per l’imbarazzo:

”Poesie!”, lui: “ piacerebbe leggerle anche a me, ma purtroppo non so leggere!”. Lei, udito questo e presa dal suo animo gentile, si offrì di insegnarli a leggere. Passavano i giorni e le settimane, entrambi si innamorarono. La famiglia di lei lo scoprì e la rinchiuse in casa ma Annetta riuscì a scappare e a sposare il suo innamorato.                                                                                                Antonio fu chiamato alle armi e dovette partire subito lasciando Annetta sola, si scrivessero e Annetta comunicò ad Antonio di essere incinta. Nacque Matteo, era il 1943. Antonio rientra nel 1950. Matteo ha 7 anni e il loro rapporto è difficile fin dall’inizio. Essendo mancato nei primi anni di vita del figlio, il piccolo Matteo non riconosce il padre e gli anni che passano sono difficili. Antonio si chiude in se stesso perché rivive i giorni della guerra. Nel frattempo, invece Matteo cresce, studia e si laurea. E’ costretto a partire per lavorare.  Antonio disse al figlio che se fosse partito non sarebbe più dovuto tornare. Glielo disse in un momento di rabbia e delusione. Dopo aver appreso la loro storia ritornai a casa e mi misi a riflettere su quello che mi disse Antonio. Iniziai a capire il motivo perché Antonio, ogni giorno da quando venne ospitato nella comunità per anziani, prendeva la moglie per mano e si sedeva davanti a quella finestra che affacciava sul viale. Aspettava il figlio. Lui in qualche modo sperava di riabbracciarlo per un’ultima volta. Un giorno mentre stavo navigando su internet mi venne in mente di usare Facebook per cercare il figlio di Antonio. Contattai parecchie persone con il suo stesso cognome, chiedendo se avessero origini calabresi, ma non ebbi nessuna risposta, fino a quando, 3 mesi dopo fui contattato da un tale di nome John Antony. Mi disse che il padre aveva origini calabresi e che mancava dall’Italia da oltre 50 anni. Raccontai la storia a John A. e riuscii a vedere sia lui e sia il padre Matteo tramite Skype. Ormai era fatta, li convinsi a ritornare in Italia. Per Matteo era un ritorno alle origini, per John era la prima volta. Non sapevo cosa aspettarmi. Aveva 32 anni e per la prima volta cercava di immaginare l’infanzia del padre, i suoi nonni e la terra dove era cresciuto. Sapevo di poter fare ritornare il sorriso al signor Antonio e a sua moglie Annetta. Quell’attesa stava per terminare. La famiglia si sarebbe riunita da lì a poco. Quando arrivai all’aeroporto per prendere Matteo e la sua famiglia, l’emozione era palpabile. Ero emozionato a tal punto da tremare. Matteo rimase sbalordito di quanto la sua terra fosse cambiata in meglio. Arrivammo a Curinga e lasciai Matteo davanti al viale della casa di cura. Gli indicai la finestra dove stavano i suoi genitori. Antonio era lì. Vide un uomo in lontananza che somigliava molto a lui quando era giovane, capì che era il figlio. Era incredulo! Non riusciva a credere di rivedere il suo amato Matteo dopo tanto tempo e di conoscere il resto della famiglia. Dopo mezzo secolo due generazioni si incontravano di nuovo. Un padre e un figlio che l’orgoglio e la rabbia aveva separato si ritrovavano prima di tutto con lo sguardo, col silenzio; un bacio e un abbraccio spartani ma sentiti, una dimostrazione d’affetto fatta di passione anche se contenuta, fa rinascere quell’empatia che solo tra padri e figli può esistere. Tra loro un nipote che riscopre un pezzo della sua vita, delle sue origini. Annetta li guarda dai vetri della finestra, la sua figura eterea e gentile, diventa ancora più bella, sembra quasi un angelo. Uno di quei personaggi usciti da un romanzo d’altri tempi. Anche i suoi occhi sono lucidi, le sue mani tremano quando incontrano le mani rugose del figlio e quelle giovani e vigorose del nipote. Ogni madre ha un sogno che è quello di sentire che il figlio è la persona che non la tradirà mai, che la rispetterà per sempre, che avrà per lei un amore puro e incondizionato. Un sogno che si era infranto per cinquant’anni e che finalmente si concretizza, che diventa certezza con le lacrime che solcano il volto di Annetta e di Matteo. Un paio di settimane dopo mi recai alla casa di cura, alla reception la segretaria mi diede una lettera da parte di Antonio e mi disse che non c’era più. Quello stesso pomeriggio appena finii il mio servizio passai dalla piazza, vidi una panchina e mi ricordai della lettera che mi lasciò Antonio. L’aprì e c’era scritto:”GRAZIE!”.