E questa è la storia dei Volontari di Alzhiamoci!
Anna, la maestra del passato
Anna, un’adulta bambina. Ogni mattina si alza di buon umore alle 6.3O per recarsi a scuola, con una calma serafica che traspare dai dolci lineamenti del suo volto rugoso. Anna è la maestra modello che non mostra autoritarismo o cattiveria, bensì una compostezza che si nota nel suo sguardo accattivante; occhi scuri e profondi che conquistano la fiducia di ogni persona col suo animo nobile ed onesto. Anna, la maestra del passato, che tutti riconoscono per i suoi accessori eleganti: il suo vecchio filo di perle, il rossetto rosso fuoco, la sua borsetta di finta pelle, l’immancabile maglioncino nero che porta anche d’estate, i suoi capelli di colore argentato con le sfumature viola. La maestra Anna è intenta a prepararsi con diligenza, parte con la valigetta di lavoro e l’ombrello, tutti color rosso fuoco come il rossetto. Io che sono la figlia, immedesimandomi nei suoi ricordi giovanili, comprendendo la sua volontà di stare ancora insieme con i suoi alunni, cerco di convincerla e le dico: “Mamma stai a casa, non devi andare ad insegnare perché i tuoi anni lavorativi sono già trascorsi”. Lei, la maestra del passato, così mi risponde: “Io non sono in pensione, i miei bambini mi aspettano, vogliono la mia presenza. Vogliono che io stia con loro come fa una mamma con i suoi bambini”. La maestra non si lascia convincere dalle mie parole suadenti e decide comunque di uscire per la sua immaginaria mattinata con i suoi allievi. E’ una giornata piovosa, il cielo cupo e minaccioso fa rabbrividire, ma la mia mamma invece di recarsi a scuola raggiunge una palestra perdendo la cognizione del tempo e dello spazio. La malattia da tempo ormai fa vagare la sua mente, offuscandola e impedendole di riconoscere il mondo reale. Il responsabile della palestra che conosce la famiglia, mi chiama. Io mi rendo conto sempre più che la mente di mia madre sta allentando in maniera inesorabile i legami col presente. Mi affretto per andare a prenderla. Le dico: “Mamma, sono venuta per riportarti a casa. Non preoccuparti. Nei prossimi giorni ti accompagnerò a Casa Alzal, una scuola dove troverai dei nuovi alunni a cui potrai insegnare. Tutti sono desiderosi di conoscerti e non vedono l’ora di fare lezione con te. Vogliono imparare a leggere e a scrivere perché non sono potuti andare a scuola e tu offrirai loro tutto il tuo sapere”. L’arrivo a Casa Alzal è subito di grande impatto emotivo: la maestra saluta tutti e quelli che lei crede siano i suoi nuovi alunni le fanno subito una gran festa. Gli operatori di Casa Alzal, i familiari degli ospiti della struttura, i volontari del servizio civile le hanno preparato anche un ricco buffet di benvenuto. A mia madre le festicciole a scuola sono sempre piaciute, lei diceva che far festa e magari mangiare un pasticcino, bere un buon caffè, voleva dire condividere momenti di gioia ed amicizia. Io, allora, ricordandomi di tutto ciò, con l’aiuto della grande famiglia di Casa Alzal le ho preparato questa piccola festa come piaceva a lei, un momento di grande condivisione per metterla subito a suo agio e farla sentire viva come un tempo. Scopro piacevolmente che a Casa Alzal, questi momenti sono molto frequenti, la gioia della convivialità diventa sana terapia per le tante persone che come mia madre hanno perso la luce della mente. La maestra instaura subito un approccio amichevole con i suoi ‘finti’ alunni che parlano il dialetto e utilizzano i vecchi detti popolari; anche loro hanno qualcosa da insegnarle. Mia madre decide di impostare la lezione in modo semplice: disegna su ogni quaderno delle immagini che gli alunni devono osservare e associare alla parola seguente. Insegna le lettere dell’alfabeto. Questa nuova avventura ha rappresentato un cambiamento radicale nella sua vita di perché riscoprendo l’esperienza dell’insegnamento, la sua esistenza sta vivendo un sussulto di nuova emotività e incosciente felicità. La mia mamma continua a perdere la dimensione del presente. Non riesce a compiere le semplici mansioni quotidiane ma dimostra sempre la sua nobiltà d’animo e la sua preparazione culturale, maturata fin dalla giovinezza e arricchita col suo percorso di studi. La malattia ha oscurato la sua mente, sovrastato e paralizzato il suo modo di ragionare e di agire. E’ diventata bambina e ha bisogno di protezione, di una coccola, di una carezza. Mi rendo conto che col passare dei giorni io muto il mio ruolo. Non sono più figlia ma, a mia volta, divento mamma affettuosa che ama incondizionatamente la sua mamma – bambina e non la lascia mai da sola. Questo cambiamento di ruolo si nota quando mia mamma è assalita da angosce, da paure, da pianti irrefrenabili. Allora io mi avvicino per confortarla. Per darle un bacio. La notte dormo con lei cantandole una canzoncina. Per starle vicino, devo fare i salti mortali per conciliare i miei impegni familiari e di lavoro. Mio marito e i miei figli, mi sono venuti incontro. Hanno compreso la gravità del momento, mi sostengono in questa particolare fase della mia vita e di quella di mia madre. Sanno che è questo il momento più difficile delle nostre esistenze. E’ ora che devo fare tutto per lei. Quando la sua mente si sarà spenta per sempre, non le servirà più nulla, non avrà più bisogno di niente. Mia mamma riesce a guardare con fedeltà e amore al passato, trattandolo con venerazione anche nei suoi aspetti più minuti. Questo tempo ormai andato non le consente di vivere la freschezza del presente e limita i suoi sentimenti e le sue emozioni. Ho deciso di scrivere la storia di mia madre perché nel mondo di oggi, il malato di alzheimer così come tante altre categorie sociali svantaggiate ( anziani, immigrati, disabili, nuovi poveri figli della crisi) non vengono considerate dalla società perché nella mentalità comune sono categorie improduttive; oppure sono persone che devono essere allontanate perché creano pericolo e insicurezza. Cancelliamo queste opinioni precostituite e impariamo, quando osserviamo una persona, a compiere un’analisi silenziosa diretta e attenta prima di aprir bocca per dire cose futili. Diamo spazio a chi viene discriminato e isolato, alle ‘piccole oscurità’ che non si conoscono, per creare una società più giusta e solidale che paragonerei a un puzzle. Assemblando tutti i pezzi di questo puzzle si può creare un mondo per dar voce a chi non ne ha.