Quest’anno ho ricominciato ad andare a scuola. Quest’anno, grazie al servizio civile, sono tornata a far parte di questo mondo, ma da una prospettiva un po’ diversa. Non sono un’alunna, questo è ovvio, e non sono un’insegnante: un po’ meno ovvio per i ragazzi all’inizio. Facevo fatica io a capire il mio ruolo, come potevano averlo chiaro loro?!
Poi più passavano i giorni e più capivo che “l’etichetta” era l’ultima cosa a cui pensavo. Più passava il tempo e più tutto si chiariva nel più semplice dei modi: facendo.
Ci sono alcuni ragazzi che hanno difficoltà nell’apprendimento e nella comprensione e che hanno bisogno di qualcuno che si dedichi con maggiore attenzione a loro, che gli spieghi le cose con il loro linguaggio, con le modalità con cui possano capire. Quel qualcuno sono io. Ma non sono solo questo per loro. Mi raccontano di loro, dei loro interessi, dei loro sogni e anche delle loro paure e mi chiedono di me. Sono quella piccola porta che è ancora a loro misura e gli permette di confrontarsi sullo stesso piano con un adulto, che però ha ancora ben chiaro cosa vuol dire avere la loro età.
Se dovessi spiegare il mio ruolo, la mia posizione nella scuola, il modo più chiaro che mi verrebbe in mente sarebbe questo: sono quella che non siede nei banchi con loro, ma che siede accanto a loro.
Oggi andare a scuola per me vuol dire andare dai miei ragazzi, essere per loro una risorsa in più per riuscire a dare il meglio di sé.