A luglio del 2018 mi sono laureato con una tesi dal titolo “Questa è casa”, una ricerca artistico-letteraria che aveva come tema il nòstos, termine greco antico che vuol dire “ritorno” e che dà il nome ad un poema che racconta i viaggi di ritorno a casa degli eroi greci. Il lavoro era suddiviso in tre sezioni e la terza, dal titolo “Ritornare”, mi appare oggi incompleta. Era un capitolo scritto da una posizione di inconsapevolezza che forse aderiva al suo presupposto didattico ma privo della reale personale esperienza del ritorno che avrei sperimentato solo qualche mese dopo.
Quando tra le motivazioni che mi spingevano a fare domanda per il Servizio Civile scrissi, tra le altre cose, “per tornare in contatto col mio territorio” non sapevo ancora quanto ogni giorno avrebbe riscritto quel terzo capitolo, quel ritorno.
Questa lunga premessa credo connoti quello che è stato il Servizio Civile per me, un’esperienza sicuramente ricca sotto il punto di vista dell’apprendimento, dell’acquisizione di competenze spendibili in un futuro lavorativo, ma tutto questo è stato inestricabile dall’esperienza emotiva e dell’accrescimento della consapevolezza come persona prima e conseguentemente come cittadino. Una dimensione privilegiata forse, quella del Servizio Civile, dove spesso la praticità del raggiungere un obiettivo è stata resa secondaria alle esigenze di confronto e di crescita personale.
Ritornare dunque, ma dove? A che cosa? Il Servizio Civile è stata la risposta a queste domande, la cosa che ha dato un senso a questo ritorno. Perché non si può tornare e starsene come una figurina ritagliata alla quale si cambia il fondale. C’è bisogno di intrecciarsi col luogo, le persone, rimanere impigliato in qualcosa che ci ricorda che bisogna scuotersi per darsi un senso, una direzione.
Il mio progetto, “Rianimazione Culturale” presso il Circolo Arci Babilonia di Acireale, è stato questo: entrare in uno spazio, quello dell’associazione, da usare come una cabina di controllo per decidere dove andare, insieme, come comunità. Si entra come uno e si esce come tanti, si finisce con l’avere otto mani, ventiquattro gambe, quindici cervelli. E a volte si fa confusione per nulla, e altre invece da quella confusione nascono cose bellissime. Effimere forse, ma non per questo di minor valore.
Se cerco un filo conduttore tra tutte le attività promosse dal Circolo riesco a trovarlo senza difficoltà perché è quello che lega le persone con più forza: stare insieme. Che sìa discutendo di un libro, imparando l’arabo o l’italiano, ascoltando della musica dal vivo, questi sono solo tanti diversi come che rispondono ad un’esigenza che è insita in tutti noi. Ed è a questo che si è lavorato ogni giorno, inventarsi nuovi modi di stare insieme o ricordarne di vecchi, cooperare per mettere in piedi quelle idee. Semplificare insomma nelle sue minime parti cosa vuol dire “promuovere la pace”, e anche se non lo si pensa in questi termini mentre si realizza un’iniziativa è sempre quello stesso valore a muovere tutti i perché in un contesto in cui tutti i contributi sono egualmente importanti. Essere volontario ha rappresentato in questo senso sicuramente un test e una conferma della mia autoefficacia come persona di agire in maniera attiva e consapevole non tanto per generare un cambiamento quanto per notificarne la possibilità. Perché se il Circolo è un’oasi ideale, la realtà del territorio circostante è spesso un deserto restio alla fertilità. Il cambiamento è un processo lungo, una piantumazione che prevede la cura incessante e personalizzata di ogni seme affinché questo possa crescere e spandersi a sua volta.
E mentre lavori, ti affanni, gioisci per quello che va bene, ti rattristi per quello che va meno bene, mentre sei con le caviglie nel fango a prenderti cura di questi semi nella speranza che non marciscano, ecco allora che da un prurito alla parte più alta della testa scopri che ti è cresciuto un germoglio proprio lì dove non guardi mai, dove non potevi vederlo, e capisci che tutto questo tempo passato a prenderti cura di qualcos’altro non è stato che prendersi cura di te stesso.
Non so descrivere meglio di così il mio anno di Servizio Civile. Potrei riassumere tutte le attività svolte, i miei compiti quotidiani, recitare una lista di cose che prima non sapevo e che ora so, ma niente di tutto questo riuscirebbe a restituire l’esperienza in parole. È stato un viaggio, un nòstos lungo un anno costellato di dettagli, puntini luminosi che come stelle lontane sono un mondo a parte, raccontano ognuna una storia per sé.
“Ritornare” è sempre “ritornare a casa”, e casa è quel posto dove puoi metterti comodo, ritrovare te stesso perché casa e le persone che ci stanno dentro ti somigliano. Il Servizio Civile è stato questo per me, fare casa di un luogo e di persone che non avevo mai incrociato prima, riconoscersi per idee, valori e lavorare insieme affinché il Circolo potesse diventare casa per tante altre persone.
Acireale, 14/01/2020
Orazio Di Maria